La CEDU conferma: il contenzioso tributario è materia “penale”

La recente sentenza Vegotex International SA vs. Belgique è l’occasione per svolgere qualche riflessione sul tema sempre attuale dell’applicabilità dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) alla materia fiscale, ed in particolare al processo tributario inteso in senso lato, fino a ricomprendervi – come fa la Corte EDU – tanto la fase più tipicamente amministrativa dell’accertamento, quanto la fase di controllo processuale sul tributo e sulla sanzione che, nelle legislazioni degli stati membri, può assumere connotazioni civilistico/amministrative o penali o, in molti casi, entrambe.

Il punto di partenza del suddetto ragionamento resta la celebre sentenza Ferrazzini vs. Italia in cui la Corte, sollecitata dal ricorrente a giudicare sul rispetto del parametro convenzionale in relazione all’irragionevole durata del contenzioso tributario, qualificando quest’ultimo sotto il cd. “volet civil” del primo comma dell’art. 6 CEDU, pronuncia una sentenza in cui sostanzialmente nega che vi sia una violazione affermando che il contenzioso fiscale sfugge al campo dei diritti ed obbligazioni di carattere civile cui è applicabile l’art. 6 CEDU.

Discorso chiuso quindi? Non esattamente.

Una corretta lettura della sentenza Ferrazzini, infatti, non può prescindere da una premessa fatta dalla Corte nella motivazione, che ci dà la misura di come la risposta al quesito sia frutto, in realtà, di una domanda mal posta.

E’ infatti con una apparente sorpresa che la Corte osserva: “Les parties ayant convenu qu’il ne s’agissait pas d’« une accusation en matière pénale », et la Cour, pour sa part, ne distinguant en l’espèce aucune « coloration pénale » (voir a contrario Bendenoun c. France, arrêt du 24 février 1994, série A no 284, p. 20, § 47), il lui reste à examiner si les procédures litigieuses avaient ou non trait à une « contestation sur [d]es droits et obligations de caractère civil ».”  (“Avendo le parti concordato che non si tratta di un'”accusa in materia penale” e la Corte, per parte sua, non rilevando nella fattispecie alcuna “colorazione penale” (si veda a contrario Bendenoun c. France, sentenza del 24 febbraio 1994, serie A no 284, p. 20, § 47), resta da esamina se le procedure contestate avessero o meno ad oggetto una “contestazione su diritti e obbligazioni di carattere civile).

In effetti, argomentando in tema di ricevibilità del ricorso, il Governo Italiano aveva sostenuto che la procedura in questione (accertamento+processo tributario) non aveva carattere penale e che quindi, per stabilire se vi fosse una violazione dell’art. 6 in termini di irragionevole durata del processo,  la questione da dirimere era essenzialmente se le obbligazioni fiscali ricadessero o meno nel novero dei “diritti ed obbligazioni di carattere civile” o se ne esulassero.

A fronte di tale tesi, la sventurata difesa Ferrazzini rispose come Gertrude ad Egidio, concordando sul fatto che la procedura non avesse carattere penale: “Le requérant pour sa part partage l’avis du Gouvernement sur le fait que les procédures litigieuses n’avaient pas de caractère pénal”. (“Il ricorrente, da parte sua, condivide l’opinione del Governo sul fatto che le procedure in contestazione non avevano carattere penale”)

Qui la Corte si fa quasi incredula: prende atto che entrambe le difese ritengono che non sia in questione una accusa in materia penale e, pur facendo notare che in altre situazioni analoghe (Bendenoun c. France) la connotazione penale dell’accertamento fiscale era invece stata sostenuta e condivisa dalla Corte, non rinvenendo agli atti alcuna “coloration pénale”, si limita a fare ciò che le si chiede, ossia verificare se il processo tributario sia una procedura che verte su diritti e obbligazioni di carattere civilistico.

E, come detto, conclude (quantunque non all’unanimità) per la tesi negativa. L’accertamento e il processo tributario, afferma la Corte, non attengono a obbligazioni o diritti di carattere civile e la fattispecie impositiva, ancorché connotata da uno spiccato carattere patrimoniale rientra in una sfera pubblicistica riservata allo Stato su cuianche in conformità a quanto stabilito dall’art. 1 protocollo 1 della CEDU, la Corte non ha poteri di controllo.

Ma il punto è questo: è corretto dire che il processo tributario ha solo una funzione accertativa del tributo, quando a tale accertamento consegue una sanzione che – nel lessico della corte di Strasburgo, alla luce degli Engel criteria – ha senza alcun dubbio natura “penale”? 

La risposta è, ovviamente negativa: la natura di “procedimento penale” in relazione al sistema di accertamento e applicazione delle sanzioni fiscali (e del conseguente controllo giudiziario) è stato infatti affermato dalla Corte EDU, sia nella citata sentenza Bendenoun c. France, ma anche in una nutrita serie di altre pronunce in cui spesso è stata ravvisata la violazione dell’art. 6 comma 1 e/o 2 (A.P., M.P. et T.P. c. Suisse n. 19958/92 del 29 agosto 1997 sulla violazione della presunzione di innocenza, J.J. c. Pays-Bas n° 21351/93 27 marzo 1998 sulla necessità di contraddittorio pieno; J.B. c. Suisse n° 31827/96 del 3 maggio 2001 sulla violazione del nemo tenetur se detegere; Jussila c. Finlande 23 novembre 2006 -Grande Chambre- sulla parità delle armi nel processo; Chap Ltd c. Arménie 2 maggio 2017 sul diritto di sentire testimoni sui fatti di causa).

Il punto è ripreso anche nella recente sentenza Vegotex c. Belgique che  interviene proprio sull’identico quesito posto dalla Ferrazzini, risolvendolo in maniera diametralmente opposta una volta spostato il focus dell’obiettivo dal “volet civil” al “volet penal“.

Casus belli è un accertamento condotto dalle autorità fiscali del Belgio sulla società Vegotex Interational S.A. nel corso dell’anno 1995 per un’indebita detrazione di imposte operata due anni prima, che portava ad un recupero a tassazione di oltre 12 milioni di franchi (298000€ circa), con applicazione di una maggiorazione di imposta del 50%. Le somme, iscritte a ruolo nel 1995, formano oggetto di contestazioni amministrative dal 1996 al 2000, quindi, di un ricorso proposto dalla società nel dicembre del 2000 che apre un contenzioso concluso dalla Cassazione solo nell’anno 2009.

Per quanto il tema di maggior interesse giuridico della sentenza sia dato dalla questione inerente la prevedibilità e la certezza del diritto in un contesto giuridico in cui, prima, un revirement giurisprudenziale aveva determinato un quadro normativo più favorevole al contribuente e poi una legge di interpretazione autentica aveva restaurato l’ancien regime (operazione indenne da censure per la Corte EDU!), ciò che qui rileva maggiormente è che il ricorso viene accolto proprio per la irragionevole durata del procedimento (14 anni fra fase amministrativa e giudiziale).

Il cambiamento di prospettiva, da civile a penale cambia completamente le sorti del ricorso, e la spiegazione è ben illustrata dalla stessa Corte nella motivazione che di seguito espongo in traduzione.

“46. Per quanto concerne l’aspetto civile dell’articolo 6, la Corte ha ritenuto a numerose riprese che lo stesso non è applicabile all’accertamento dell’imposizione e delle maggiorazioni di imposta (si vedano, tra le altre Ferrazzini c. Italie [GC], no 44759/98, § 29, CEDH 2001‑VII, Jussila c. Finlande [GC], n. 73053/01, § 29, CEDH 2006‑XIV, e, più di recente, Formela c. Pologne dec. n.  31651/08, § 127, 5 febbraio 2019).

47. La Corte è pervenuta alla stessa conclusione nel caso Optim et Industerre c. Belgique ((déc.), no 23819/06, §§ 24-26, 11 settembre 2012) che concerneva, al pari della presente fattispecie, un ricorso promosso dai ricorrenti davanti alle autorità giudiziarie per contestare l’accertamento fiscale di cui avevano formato oggetto. La Corte non vede alcuna ragione per discostarsi da questa conclusione nel caso di specie, poiché la procedura intrapresa dalla ricorrente davanti alle giurisdizioni interne mirava a contestare l’applicazione dell’imposta. Il fatto che, in concreto, fosse al centro del dibattito la prescrizione del debito di imposta non modifica tale conclusione.

48. Il caso National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society et Yorkshire Building Society (precitato) sul quale si basa la ricorrente, atteneva ad una situazione estranea alla presente fattispecie, in quanto la procedura davanti alle giurisdizioni interne mirava ad ottenere la restituzione di un’imposta indebitamente pagata dalle società ricorrenti in virtù di una legge impositiva che era stata, in seguito, annullata.

49. La applicabilità della parte penale dell’art. 6 § 1 della Convenzione non è in quanto tale contestata dal Governo.  Avuto riguardo al fatto che la maggiorazione di imposta alla quale la ricorrente è stata condannata persegue uno scopo al tempo stesso preventivo e repressivo (Jussila, precitata, §§ 29-39) e avuto riguardo alla gravità della sanzione che poteva essere comminata, vale a dire una maggiorazione che rappresenta 10% dei diritti di cui la ricorrente è stata giudicata debitrice (si vedano A.P., M.P. et T.P. c. Suisse, 29 agosto 1997, § 40, Raccolta 1997‑V, e Janosevic c. Suède, no.34619/97, § 69, CEDH 2002‑VII), la Corte conclude che la parte penale della disposizione invocata è applicabile.

50. La Corte tiene a osservare che la procedura contenziosa concerneva al medesimo tempo l’accertamento fiscale, che in quanto tale non ricadeva sotto l’applicazione dell’art. 6 § 1, e la maggiorazione di imposta, che, invece, ricadeva nell’applicazione di questa disposizione. La Corte deve procedere all’esame della procedura nella misura in cui la stessa ha avuto per oggetto una “accusa in materia penale” diretta contro la ricorrente. Anche ammesso che sia possibile distinguere gli elementi della procedura che riguardano l’ “accusa in materia penale”, da quelli che abbiano altro oggetto, l’esame della procedura concernente la maggiorazione di imposta porterà inevitabilmente la Corte a prendere in considerazione gli elementi della procedura concernenti l’accertamento fiscale (Jussila, precitato, § 45 ; si veda analogamente Georgiou c. Royaume-Uni dec. n. 40042/98, 16 maggio 2000, Sträg Datatjänster AB c. Suède dec., n. 50664/99, 21 giugno 2005,  e Chambaz c. Suisse, no 11663/04, § 42, 5 aprile 2012).”

L’argomentazione consente pertanto di affermare che il superamento della Ferrazzìni può avvenire – anche nell’ordinamento italiano – puntando sulla duplice (ed inscindibile) valenza del processo tributario: quella di giudicare del tributo, ma anche – se pur indirettamente – della sanzione.

Su tale più solida base disquisire di processo tributario sotto il profilo della violazione dell’art. 6 paragrafo 1 della CEDU non solo non è più un tabù, ma apre scenari ancora ampiamente inesplorati per le ricadute che ciò potrebbe avere sulla compatibilità di determinati istituti di diritto interno con l’intero art. 6 CEDU.

Come noto, infatti, l’art. 6 CEDU è strutturato su paragrafi di cui solo il primo attiene indistintamente alla materia penale e civile, laddove i restanti due riguardano specificamente solo la materia penale, stabilendo:

  • che ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.
  • che particolare, ogni accusato ha diritto di:
    (a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;
    (b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;
    (c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;
    (d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;
    (e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza.

Risulta evidente che tali principi – del tutto sacrosanti e pacifici nell’ambito di quello che il diritto interno definisce “penale” – non sono sempre altrettanto scontati nell’ambito del procedimento di accertamento del tributo e di irrogazione della sanzione tributaria (definita amministrativa in diritto interno, ma dalla natura sostanzialmente “penale” nella definizione che ne dà la Corte EDU): che dire dunque delle sanzioni conseguenti ad accertamenti fondati su presunzioni? o del divieto di prova testimoniale nei casi in cui l’accertamento si fondi su dichiarazioni di terzi, su questionari somministrati a terzi o – addirittura – su indagini finanziarie condotte su conti di soggetti diversi dal contribuente?

Occorre tuttavia non farsi prendere da facili entusiasmi.

Anche a fronte del consolidamento dell’indirizzo che considera materia penale anche l’accertamento tributario e il procedimento giudiziario ad esso conseguente, nella misura in cui si disquisisca (anche) di sanzioni, l’analisi della giurisprudenza di Strasburgo ci richiama ad un sano bagno di realtà.

Sono infatti estremamente limitati i casi in cui, riconosciuta l’applicabilità della parte penale dell’art. 6 come affermazione di principio, è stata poi anche riconosciuta anche la violazione dello stesso articolo (Jussila insegna!)

E’ evidente che il superamento di Ferrazzini è solo un punto di partenza, non certo un punto di arrivo e che in ogni singolo ricorso sarà necessario indagare ed argomentare se e come le norme dell’ordinamento interno, certamente poco compliant con la sensibilità penale, siano davvero così contrastanti con il principio da determinare una  effettiva violazione dei diritti contemplati dell’art. 6 in uno dei suoi tre paragrafi.

Avv. Alberto Michelis

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